Nullo il licenziamento se non è stato superato il periodo di comporto

 

La Cassazione ribadisce il valore prioritario del diritto alla salute del lavoratore affermando che è nullo il licenziamento intimato al dipendente in malattia per superamento del periodo di comporto, laddove tale periodo non sia ancora terminato.

Questo l’orientamento espresso dalla Corte di Cassazione con la sentenza n.12568/18 che ha dichiarato il licenziamento nullo per violazione della norma imperativa di cui all’art. 2110, c. 2, codice civile, affermando che i requisiti di validità del licenziamento devono sussistere al momento in cui questo viene intimato.

La Corte, ribaltando le decisioni dei giudici territoriali, ha ribadito il valore prioritario della tutela alla salute definito dall’art. 32 Costituzione come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività. La Corte afferma che il licenziamento per superamento del periodo di comporto costituisce una fattispecie autonoma di licenziamento, cioè una situazione di per sé idonea a consentirlo, diversa da quelle riconducibili ai concetti di giusta causa o giustificato motivo. Il datore, prosegue la Corte, può recedere dal rapporto solo dopo la scadenza del periodo fissato dalla contrattazione collettiva (o in difetto da usi o equità) ed è escluso che reiterate assenze per malattia del dipendente integrino un giustificato motivo oggettivo di licenziamento. Ammettere come valido (sebbene momentaneamente inefficace) il licenziamento intimato prima che le assenze del lavoratore abbiano esaurito il periodo massimo di comporto, significherebbe consentire un licenziamento che, all’atto della sua intimazione, è ancora sprovvisto di giusta causa, o giustificato motivo e non è riconducibile ad altra fattispecie.

Secondo la Cassazione solo a decorrere dal rientro in servizio del lavoratore l’eventuale prolungata inerzia del datore nel recedere dal rapporto, può essere oggettivamente sintomatica della volontà di rinunciare all’esercizio del potere di licenziamento. Invece, un eventuale errore di calcolo che abbia indotto il datore ad anticipare il licenziamento rispetto al reale momento di esaurimento del periodo, non impedisce che il licenziamento, nullo, non possa poi essere tempestivamente rinnovato al verificarsi delle condizioni che lo consentono (scadere del periodo massimo di conservazione del posto). Tutte le informazioni sono reperibili presso il nostro Studio.

Questa voce è stata pubblicata in Giurisprudenza, Normativa, Notizie. Contrassegna il permalink.

I commenti sono chiusi.